Personaggi illustri del ramo Tabassi di Lama
PERSONAGGI ILLUSTRI DEL RAMO TABASSI di Celano, Pescina e Lama dei Peligni.
DUE EROI DEL RISORGIMENTO ITALIANO: I F.LLI GIAMPIETRO E PANFILO TABASSI
Qui di seguito conosceremo due personaggi eminenti del Risorgimento Italiano, figure molto importanti e significative: i fratelli Giampietro e Panfilo Tabassi nati entrambi a Celano. Di loro possiamo dire che i loro nomi sono entrati nella storia dell’Unità d’Italia in quanto precursori del Risorgimento stesso, ancora prima di Mazzini e di Giuseppe Garibaldi. La loro eroicità consiste proprio in questo: in un’ epoca dove l’ideale di uguaglianza e libertà non ancora era ben radicata nel pensiero del futuro popolo italiano, per i f.lli Tabassi era già in atto. Nel loro cuore, infatti, questo sentimento ardeva incessantemente e spinti anche dalla loro stessa famiglia, furono tra i primi rivoluzionari a partecipare alle rivolte. In vero ci vollero coraggio e spirito patriottico nel prendere questa eroica decisione, in quanto passò ancora molto tempo prima che questo nuovo spirito di libertà si diffondesse. Non di meno è da sottolineare che i due eroi, pur appartenendo ad una famiglia nobile ed agiata, andarono contro i propri interessi partecipando ai primi moti rivoluzionari contro i re Borbonici. Tutto questo non fece altro che attirare le ire dei sovrani del Regno di Napoli che diedero inizio alle incessanti e barbare persecuzioni sia per Giampietro e Panfilo che per la loro stessa famiglia. Resta il fatto che questa loro scelta, seppure dolorosa, contribuì a portare gloria e lustro a questo ramo Tabassi, del quale noi oggi, ci onoriamo di appartenere. Un retaggio d’onore e di gloria che non ha prezzo.
**Giampietro (1789–1866), barone di Prezza, dei Pizzi, Torregentile e di Villa Fonte Rossi, figlio primogenito di Cristoforo e di Angela Maria dei marchesi Mazara.
Fu nobile figura di soldato e patriota e spinto dalla sua stessa famiglia, fu tra i primi rivoluzionari a partecipare alle rivolte contro i re Borbonici.
Appena diciottenne, insieme al fratello Francesco, nel suo paese di Celano, si pose alla guida di due “vendite” Carbonare, ciascuna composta di 250 iscritti: “Li Liberi Marsi e Li Cliternini Generosi”. Gli affiliati di questi gruppi si spacciavano per carbonari e si caratterizzavano per un programma di forte opposizione alla già morente Monarchia.1
Ufficiale Napoleonico insignito della memoranda medaglia di Sant’Elena da Napoleone Bonaparte –Capitano della Legione Provinciale dell’Abruzzo Ultra II – Console di Francia in Italia – Colonnello del Regio Esercito Italiano e fautore dell’Unità d’Italia. Perseguitato dai Borboni fu costretto a fuggire in diversi paesi d’Italia. Nel 1821 con sentenza della Commissione di Guerra fu destituito da ufficiale dell’Esercito borbonico per aver preso parte attivissima a tutte le aspirazioni indipendentistiche e fu costantemente perseguitato dalla polizia di Ferdinando I.
Visse per molti anni tra Lama dei Peligni e Chieti con la sua consorte Elisabetta Carosi-Amorosi baronessa dei Pizzi di Sopra e di Villa Fonte Rossi. La sua casa di Chieti si trasformò in ritrovo dei più insigniti patrioti d’Abruzzo Citra, per cospirare contro i Re Borbonici e sostenere la causa del Risorgimento italiano. (vedi documento)
Con la creazione del Regno d’Italia, il governo italiano non dimenticò Giampietro Tabassi. Infatti, con decreto del 28 dicembre 1860 del re Vittorio Emanuele II di Savoia, gli fu riconosciuto il grado di colonnello, e collocato a riposo, concesso l’uso dell’uniforme dell’esercito italiano. Si spense a Guardiagrele all’età di 77 anni concludendo una vita interamente spesa per la sua patria. Nel suo ultimo viaggio fu accompagnato assieme alle autorità del paese e anche dal drappello della Milizia Cittadina e tumulato nella Chiesa Madre di quel paese.
**Panfilo (1803–1896), come suo fratello Giampietro e la sua famiglia fu mosso da idee liberali prendendo, anch’egli, parte attiva ai vari gruppi e movimenti d’indipendenza oltre che ai vari avvenimenti politici del tempo. Patriota ed eroe del Risorgimento italiano, prese parte a tutte le rivolte e le cospirazioni. Nel 1828, giovanissimo, si arruolò come volontario nel neo reggimento dei “ Cacciatori a Cavallo” guidato dal Generale Guglielmo Pepe.
Denunciato come uno dei capi della cospirazione insieme ad altri suoi concittadini di Celano (Aq), venne arrestato e perseguitato dai Borboni come il fratello Giampietro. Rinchiuso nel Castello dell’Ovo di Napoli fu seviziato e torturato barbaramente e per lungo tempo. Infine liberato, sostenne e sottoscrisse sul trasferimento della Capitale d’Italia da Torino a Firenze. Tornato a Celano, suo paese natio, ebbe l’incarico di indagare gli spiriti ed il pensiero della sua gente ed anche delle popolazioni dei paesi vicini al suo e divulgare le nuove idee di libertà e di Unità d’Italia.
Nell’ottobre dello stesso anno, scoppiarono i moti reazionari in Avezzano, capoluogo del circondario. I tumulti si propagarono anche a Celano e nei paesi vicini anche per l’approssimarsi delle innumerevoli bande armate di briganti, che erano accorse per l’occasione da ogni parte. I cinquemila briganti armati, dovevano ricongiungersi, in Aquila, con la colonna comandata dal Generale Scotti Douglas, che era stata inviata dal re borbonico, per soffocare i nascenti tumulti in tutta la zona centrale del Regno di Napoli. Ma l’esercito dello Scotti, fu sconfitto nella battaglia di Isernia, per mano del Generale Cialdini. Le orde brigantesche proseguirono da sole la conquista di quei territori per saccheggiarli. In quella occasione, Panfilo Tabassi, aiutato da uno sparuto gruppo di uomini della plebe, cercò di far desistere a quei tumulti in Celano opponendosi fortemente a quei primi moti degli insorti, in quanto bisognava impedire l’ingresso alle bande di briganti ed evitare che si impossessassero delle armi che si trovavano nella sede del Corpo della Guardia Nazionale, rimasta deserta e senza difesa. La lunga resistenza di Panfilo, rimasto solo ed inerme con grande pericolo e sprezzo della sua vita, salvò parecchi uomini celanesi liberali che riuscirono nel frattempo a fuggire. Infine i briganti comandati dal famigerato Lagrange loro capo, ebbero la meglio, riuscendo ad impossessarsi delle armi e a devastare anche molte abitazioni della città compresa quella dello stesso Panfilo. Tutto questo lo rese agli occhi di quei rivoltosi un eroe determinato ed ardito, rispettato da tutti, per cui seguitò ad accorrere in aiuto di quei cittadini e di quei paesi vicini che si sentivano minacciati.
Dopo questi fatti, fu scelto quale rappresentante del popolo alla Camera dei Deputati al Primo Parlamento Italiano a Torino, dopo essere stato eletto nella VIII^ legislatura nel Collegio di Pescina (Aq) nelle votazioni che si svolsero il 1 marzo 1863, in cui riportò un ampia vittoria. Nel medesimo tempo era anche Sindaco di Celano e si adoperò anche per l’abolizione della pena di morte. Amico del Principe Torlonia, collaborò politicamente al prosciugamento del lago del Fucino.2
**Giovanni (1823-1883), barone di Prezza, dei Pizzi, Torregentile e di Villa Fonte Rossi, figlio di Giampietro e della baronessa Elisabetta Carosi-Amorosi, nacque a Chieti. Avvocato dotato d’ingegno acuto, d’indomito coraggio e d’ impareggiabile bontà, sposò con Francesca D’Antonio, dama napoletana, divenendo l’erede testamentario e legittimo di tutte quelle prerogative di nobiltà possedute dalle famiglie Tabassi, Carosi, Amorosi e Lanuti. Rappresentava il fedele depositario di tutte le tradizioni, dei nomi, dei privilegi e delle glorie di queste nobili famiglie, per cui divenne il maggiore rappresentante delle quattro Casate ereditandone anche tutti i beni ed i Titoli. Inoltre, essendo egli, l’unico erede testamentario di Giacomo Tomassetti-Trasmondi, mediante refuta scritta dallo stesso, ereditò anche “il Titolo o dono di tradizione cavalleresca di dignità nobiliare di marchese di Navelli” (vedi refuta). Tale Titolo era trasmissibile ai maschi primogeniti in perpetuo. Abilissimo nei maneggi politici, dotto cultore di studi filosofici nonché amante di viaggi, brillò per le sue non comuni qualità di perfetto gentiluomo. Appassionato di musica si dilettava, inoltre, anche nella poesia. Morì all’età di 60 anni, ancora vegeto e robusto, in Lama dei Peligni il 1 giugno 1883 in seguito a frattura del cranio, causatagli dalla caduta del fondo di legno di un grosso mortaio che, in uno dei fuochi pirotecnici accesi nella piazza del paese nella festività del Santo Bambino, era scoppiato e, lanciato in aria, era infine ricaduto sul suo capo mentre, questi, era in piedi a godersi il fuoco.
**Giuseppe (1833-1913), ingegnere, fratello del barone Avv. Giovanni, nacque a Lama dei Peligni il 4 maggio 1833. Di ingegno acuto e versatile si distinse per la nobile austerità della sua vita. Si dedicò con ardore allo studio. Ventottenne, ebbe elogi ed encomi dal Direttore del Liceo Scientifico di Chieti che, il 28 agosto 1861, certificava che il Sig. Giuseppe Tabassi aveva, con lodevole profitto, espletato il corso completo delle Matematiche, avendo sostenuto gli esami per gradi Dottorali sino a quello di Licenza e avendo esposto nei relativi esperimenti le teorie sulla Meccanica razionale, le quali includevano la conoscenza del calcolo infinitesimale. Fu persona erudita e colta, visse quasi sempre a Lama attendendo alla ricostruzione della sua casa ed all’amministrazione della proprietà. Non prese moglie e visse nobilmente con le “rendite enfiteutiche perpetue” dei suoi terreni, che erano stati concessi ai vari contadini del posto. Con i coloni, che ogni anno riempivano la sua casa di ogni sorta di beni, fu sempre molto buono e disponibile. Ogni anno le sue cantine si riempivano di ettolitri di mosto che, divenuti vino, venivano venduti al minuto ai cittadini del posto, oltre che utilizzati privatamente. Si deve a lui l’ampliamento del palazzo Tabassi-Carosi a Lama dei Peligni, con la costruzione di una nuova ala e di una nuova facciata con portale in pietra scolpita, stile settecentesco. Si deve a lui anche il progetto di sistemazione della strada – traversa- comunale di Fara San Martino nel 1870 e propriamente il tratto compreso dall’origine della strada traversa comunale di Civitella M. R. al congiungimento della strada provinciale Frentana. Per questo motivo gli è stato intitolato un tratto di questa strada, in suo onore, con una targa commemorativa. L’ingegnere Giuseppe Tabassi morì a Lama dei Peligni di emorragia cerebrale il 22 novembre 1913. Ancora oggi nella casa di Lama si conserva, come fosse una reliquia, un calco in gesso del suo volto, eseguito dopo la sua morte. Fu molto amato e stimato da tutti i cittadini lamesi.
**Cristoforo (1837-1910), altro fratello del barone Avv. Giovanni Tabassi, non prese moglie e visse sempre tra Chieti e Lama dei Peligni. Fu persona di grande importanza storica. Fu cavaliere e commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia. Uomo di sobri e severi costumi, si fece ammirare dai contemporanei per la sua cultura classica. Fu sempre dedito alle cariche pubbliche. Fu consigliere e deputato provinciale dell’Abruzzo Citra – consigliere comunale – presidente della Congregazione di Carità – presidente onorario della Società Operaia di M.S. Fratellanza Peligna. Fu, inoltre, presidente della Commissione di Sindacato per il Consorzio di Lama per l’applicazione della Legge d’imposta sulla ricchezza mobile – vice presidente della Commissione delle Imposte Dirette – vice presidente della Banca Cooperativa e vice conciliatore del Comune di Lama dei Peligni oltre che socio azionista delle Società delle Grotte del Cavallone e del Bue di Taranta Peligna e Lama. Nel 1862, fu nominato Comandante della Guardia Nazionale di Lama e nel 1864 Luogotenente e Presidente del Consiglio di Disciplina, sempre della Guardia Nazionale. Ebbe elogi ed encomi dal Prefetto del circondario di Lanciano per i servizi resi contro il brigantaggio. Cristoforo Tabassi fu, dunque, veramente un grande personaggio che molto diede al suo paese e che merita di essere ricordato tra gli uomini, più illustri di quel tempo.
**Giampietro (1868-1961), figlio primogenito del barone avv. Giovanni, nacque a Pescina dei Marsi il 16/2/1868. Si laureò in medicina presso l’Università di Napoli nel 1897. Sposò Di Guglielmo Anna di Civitella M. Raimondo.
Esercitò in diversi Comuni la professione medica ricevendone molta stima. Medico condotto a Francavilla per un quinquennio, fu tanto amato ed apprezzato che la popolazione volle insignirlo di medaglia d’oro ed accompagnare commossa e devota, per lungo tratto, la carrozza che lo riportava fra i suoi.
Si trasferì a Lama per sempre profuendo la sua abilità professionale, i tesori della Sua mente, e i doni generosi del suo cuore.
Si distinse per il suo attaccamento al mondo dell’infanzia che lo spinse a far sorgere a Lama, un Asilo infantile, fatto costruire su un terreno edificabile da lui stesso donato gratuitamente, al quale dedicò tutta la sua vita con amore ed interesse per i bambini. Curò i dettagli della costruzione e ne resse saggiamente e lungamente l’amministrazione. Quando nel 1943 l’Asilo fu distrutto a causa degli eventi bellici, si prodigò per la rapida ricostruzione.
Umanista, benefattore, medico insigne e valentissimo ostetrico al quale tanti debbono la vita, l’uomo che salvò da sicura morte decine e decine di madri e bambini restituendoli all’affetto e alle cure della famiglia. Dottissimo, la sua sete di conoscenza era inesausta e lo portava a trascorrere il tempo libero nello studio assiduo e nella ricerca. Fu primo socio abruzzese del Touring Club Italiano. Si occupò di turismo ed in particolar modo della valorizzazione della Grotta del Cavallone di Lama dei Peligni. Aprì le porte della sua fornita biblioteca ai giovani creando un circolo culturale e ricreativo. Intrattenne rapporti di amicizia con i maggiori artisti e letterati abruzzesi del suo tempo ed in particolare con Francesco Paolo Tosti, Gabriele D’Annunzio, Michetti e lo Scarfoglio.
In onore del figlio Giovanni scomparso (mio padre), fece sì che sorgesse a Lama, nell’immediato dopo guerra, anche l’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia (O.N.M.I.), mettendo a disposizione il proprio fabbricato, curando e potenziando ogni sorta di cosa essendone egli attivo e solerte Commissario. Nel 1959 fu insignito quale decano dell’Ordine dei Medici della Provincia di Chieti e decorato con una medaglia d’oro, per aver esercitato con dedizione e competenza la professione medica per cinquant’anni. Alla sua memoria è stato dedicato a Lama il nuovo Asilo infantile e una strada che dalla via Nazionale Frentana si collega con la via Provinciale per Taranta Peligna ed a Chieti gli è stata intitolata, già da diversi anni, un’altra strada situata a fianco dell’antico palazzo appartenuto alla sua famiglia. Morì a Lama dei Peligni il 5/8/1961.
**Nicola** (1880-1956), avvocato, fratello del barone dott. Giampietro, nacque a Lama dei Peligni nel 1880. Compì i primi studi nel collegio di Sulmona e nel liceo di Chieti. Successivamente si iscrisse alla facoltà di legge dell’Università di Macerata, dove si laureò.
Durante la sua prima giovinezza e la sua dimora a Lama dei Peligni, fu amministratore comunale e sindaco nei primi anni del 1900, poi consigliere provinciale nel 1914.
A lui si deve la realizzazione della rete di approvvigionamento idrico di Lama nel 1908, con il prelevamento dell’acqua dalle sorgenti delle “Acquevive”, nel vicino comune di Taranta Peligna. Ancora oggi si conserva, nel mio archivio privato, la relazione di detta opera. Esercitò per poco tempo l’avvocatura per poi impiegarsi con la Società assicuratrice del Sindacato Pugliese in Chieti dove abitò sempre nell’antico palazzo di famiglia, in corso Marrucino, a lui assegnato in bonaria fraterna divisione con il fratello maggiore Giampietro. Per le sue capacità e la sua rettitudine, riscosse stima e considerazione.
Fu persona di animo mite e buono, ebbe pronta e svegliata intelligenza, qualità queste che lo distinsero in tutta la sua vita e che gli conferivano una spiccata personalità. La distinzione del suo tratto, il suo cavalleresco galantomismo, la sua rettitudine, la sua grande bontà, il suo comportamento per i bisognosi che lo induceva a contentare anche amici e conoscenti, gli valsero la benevolenza e la stima di quanti lo conobbero ed una affettuosa riverente popolarità.
A Chieti, nelle elezioni provinciali del 1920 fu eletto consigliere nella lista dei liberal-democratici e nel 1924 venne riconfermato per la seconda volta. Durante il governo fascista divenne Podestà di Chieti, ma si dimise in tempo, prima che il fascismo subisse il collasso.
Fu consulente legale di società assicurative, presidente della Società della Stampa Abruzzese e ricoprì la carica di direttore dell’ I.N.A.I.L. sino al 1951, anno in cui si ritirò per raggiunti limiti di età. Sposò Luisa Patrignani di Chieti, dalla quale ebbe una sola figlia di nome MADDALENA (famigliarmente chiamata Magda). Nicola passò gli ultimi anni della sua vita tra Chieti, dove si sentiva legato dall’affetto degli amici e dall’amore verso la sua città, e Roma, dove era attratto dalla paterna tenerezza e dall’amore dei suoi piccoli nipoti, fino a trascurare, pur amandoli vivamente, i suoi fratelli di sangue. La morte lo colse già sofferente a Roma nel 1956.
**Giovanni (1903-1940), Figlio unigenito del barone Giampietro Tabassi e Anna Di Guglielmo, nacque a Cittareale il 17 agosto 1903.
Nel 1929, si laureò in medicina e chirurgia presso l’Università di Bologna.
Nel 1930, entrò nella Scuola di Sanità Militare di Firenze per ottemperare agli obblighi di leva. Espletato il servizio militare come ufficiale medico, si iscrisse nuovamente a Bologna al corso di perfezionamento in ginecologia ed ostetricia.
Nel settembre del 1932, durante una battuta di caccia alle quaglie presso Colledimacine, ricevette accidentalmente, da un suo zio, un colpo di fucile al ginocchio sinistro. Rimase con l’arto anchilosato e, malgrado tutto, appena rimessosi, conseguiva giovanissimo la nomina a primario, esercitando la professione prima a Chieti dove diresse la Sala di Maternità dell’Ospedale Civile ed il Gabinetto Ostetrico della Casa della Madre e del Bambino, poi a Pescara, dove assunse la direzione del Reparto di Chirurgia dell’Ospedale Civile, che egli stesso fondò e diresse con passione e competenza. Sposò il 12 aprile 1939, nella chiesa di Santa Teresa in Pescara, con la nobildonna Vittoria d’Ettorre dei marchesi Martinetti-Bianchi di Catignano, dalla quale non ebbe figli. Tra gli invitati erano presenti alla cerimonia la baronessa Anna Lillina Treccia ed il barone Giovanni Henrici, amico e compagno dello sposo.
Appena un anno dopo, nel giugno del 1940, una malattia inesorabile e ribelle a tutte le risorse della scienza del tempo, cioè una forma di tifo, contratto con una cena a base di ostriche crude a Pescara, minò irrimediabilmente la giovane esistenza di Giovanni. A nulla valsero le sollecite cure dei medici e dei colleghi dell’Ospedale che si alternarono al suo capezzale. La morte subentrò in seguito a complicanze ed i congiunti ed amici assistettero impotenti alla sua fine dolorosa che avvenne tra le braccia dei genitori il 25 luglio 1940. A Pescara, a Chieti, a Lama dei Peligni le mura cittadine furono tappezzate di funebri avvisi ricordanti le virtù dell’ estinto e invitando tutti i cittadini a partecipare ai funerali. Tutto l’Abruzzo prese parte al lutto della famiglia e da ogni paese d’Italia pervennero a centinaia i telegrammi di condoglianze insieme a lettere e biglietti vari.
A un anno dalla sua morte, i suoi genitori Giampietro ed Anna, mentre inconsolati trascorrevano una vuota esistenza, senza gli affetti di un tempo e con l’approssimarsi della vecchiaia che rendeva più acuta la tristezza e la solitudine, ricevettero un’improvvisa ed inattesa notizia che giungeva da Torremaggiore, in Puglia, da parte del parroco di quella città, Don Antonio Codipietro, che li lasciò stupefatti e sbalorditi.
Il parroco rivelò l’esistenza di un bambino di nome GIOVANNI (il sottoscritto), nato all’Aquila il 23 aprile 1939, figlio naturale del loro figlio Giovanni Tabassi e della signorina Emma Cremonese di Manoppello (CH), sua infermiera aiutante.
Questa straordinaria notizia riaprì il cuore dei due anziani genitori alla speranza ed alla gioia di vivere.
Il barone Giampietro si mise dunque subito all’opera, alla ricerca dell’inatteso ma desiderato erede.
Dopo accurate indagini e con l’aiuto di alcuni amici intimi e di suo cugino, il nobile Giovanni Manieri patrizio dell’Aquila, rintracciò il piccolo nipote Giovanni che, nel frattempo, era stato affidato dall’Istituto, dove il piccolo si trovava, a due contadini di Cerchio, paesino in provincia dell’Aquila nella zona del Fucino, per essere nutrito ed allattato. Dopo vari iter burocratici il 12 novembre 1941, con decreto della Corte di Appello dell’Aquila, Giampietro Tabassi adottò il piccolo nipote e lo condusse con sé nella sua casa di Lama, alla tenera età di due anni. Al suo arrivo, verso le undici e mezza del mattino, tutta la gente del paese si radunò nella piazza, per accoglierlo con applausi festosi, mentre le campane della Chiesa suonavano a distesa in segno di festa per quell’evento unico e straordinario. Ancora oggi, qualcuno ricorda quell’avvenimento.
Queste le parole del barone dott. Tabassi, scritte al presidente della Provincia dell’Aquila rappresentante di quell’Istituto, per motivare l’adozione del bambino: “…Avendo io e mia moglie Annina perduto l’unico nostro figlio, intendiamo insieme poter dedicare la nostra vita al piccolo Giannino, il cui motivo è da ricercarsi nel particolare affetto che portiamo verso di lui…”
Questi erano i sentimenti di amore che i due anziani signori provavano, nel loro generoso cuore, per il nuovo figliolo.
Questi, che è colui che scrive le seguenti memorie, oggi vive a Lama con la sua famiglia, sempre grato e riconoscente verso i suoi cari nonni che tanto lo amarono.
Il loro ricordo, il ricordo delle loro azioni e del loro vivere altruista sarà un esempio da seguire, affinchè i nomi di Giampietro e di Anna Tabassi siano sempre degnamente rappresentati.
Foto del sottoscritto Giovanni Tabassi. Quella sulla sinistra, all’età di due anni, è stata fatta pochi giorni dopo esser venuto a Lama per la prima volta nella casa dei nonni. La foto a destra è stata fatta alla età di dodici anni.