Il palazzo Tabassi di Sulmona e la Bifora (SEC. XV)

Da documenti venuti alla luce in questi ultimi tempi si è accertato che l’odierno palazzo non sia appartenuto fin dalle origini alla famiglia Tabassi, come la tradizione storica locale ha sempre ritenuto, ma acquistato dal barone Domenico Antonio Tabassi mediante permuta effettuata con il barone Giuseppe De Capite nel 1670-72 e che gli stemmi in pietra visibili sulla facciata, furono a loro volta, sostituiti.1

Ciò premesso, possiamo dire che l’odierno palazzo Tabassi a Sulmona, in via Ciofano, è uno dei più tipici esempi di dimora gentilizia del XV secolo. Era un grandioso ed artistico edificio e fu abbattuto quasi interamente dai terremoti. Della vecchia costruzione non resta, nell’esterno, che il portale principale, con la finestra bifora che lo sormonta e qualche frammento di poca importanza.

Il portale in pietra, analogo a quelli di moltissimi palazzi di Napoli costruiti ai tempi dei Durazzo, è formato da un arco depresso con ampio fronte contornato da robusta cornice.

Alquanto discosto dal culmine dell’arco, vi è un coronamento orizzontale il quale, piegando in basso, da un capo e dall’altro, corre verticalmente fino ad appoggiarsi sull’estremità dell’arco. A destra e a sinistra dello spazio compreso tra l’arco ed il coronamento, vi sono due scudi con le insegne della famiglia Tabassi.

Questo portale fu lavorato da un maestro lombardo, come si rileva dalla seguente iscrizione in carattere teutonico,  incisa in una lastra rettangolare, posta di lato sulla destra: “MASTRO PETRI DA COMO FECE QUESTA PORTA. A.D. MCCCCXLVIIII”.

Sulla cornice, che divide la facciata in due zone, vi è la famosa bifora, l’unica rimasta di una  serie al primo piano che faceva acquistare all’edificio un aspetto grandioso e slanciato. La bifora, ricca di finissimi e minuti ornati e di delicate modanature, più che una scultura in pietra sembra un intaglio su legno o, meglio, un lavoro di cesello e bulino. La descrizione che segue non è che una pallida riproduzione della stupenda opera.

Nell’interno, l’androne e la corte mostrano ancora l’antico aspetto, quantunque parecchi siano stati i restauri e le aggiunte. Un’ insegna a colori di stile anni trecento si può ammirare sul soffitto dell’androne, formato da uno scudo gotico sormontato da elmo d’argento rivoltato a sinistra ornato di due svolazzi e con la sigla SPQR in argento. Sulla corte si affaccia la loggia sovrastante e di fronte all’ingresso corre un ballatoio di raccordo tra due corpi laterali dell’edificio, sorretto da tre arcate a sesto acuto. Nella tamponatura dell’arco di sinistra sono inserite sei lapidi funerarie romane.

Nell’arcatella centrale è ricavato il vecchio pozzo, dal quale si poteva attingere l’acqua anche dall’alto, che porta scolpita l’arma dei Tabassi.

Sul lato destro del cortile, conservatissimo è l’ingresso ad arco acuto della scalinata di accesso al piano nobile superiore, dove un altro stemma settecentesco si staglia sopra il portale:” uno scudo ovale ed accartocciato sormontato da elmo chiuso, posto in maestà”.

Null’altro è notevole nell’esterno del palazzo; merita, però, di essere ricordato un chiavistello che si vede nella cantonata antica occidentale, nella facciata verso via Corfinio, il quale serviva per fermare il capo di una di quelle catene di ferro e serrare il passaggio, sorvegliato da un bassorilievo che mostra Ercole in atto di trafiggere la belva, simbolo di antiche cacce e di abilità, forza e sopravvivenza. Le catene di  ferro  furono  concesse  dalla   regina Giovanna  nel 1346,  con  le  quali  si  sbarravano  gli sbocchi delle vie in tempi di guerre o di tumulti popolari. 2

Ritornando alle sei lapidi funerarie custodite in questo splendido palazzo, possiamo dire brevemente che queste provenivano quasi tutte dalle antiche mecropoli di Sulmona o da altri piccoli insediamenti di epoca romana.

Erano scritte tutte in latino e se ne potevano leggere le storie antiche racchiuse nelle parole incise su di esse.

Queste ci parlano di personaggi vissuti in quell’epoca a Sulmona, delle loro storie personali e di come appartenessero a diverse condizioni sociali.

Quasi tutti questi personaggi, talvolta anche femminili, erano schiavi o liberti, cioè servitori ai quali veniva concessa la libertà dal proprio Signore.

Questo fatto dava loro la possibilità, una volta ottenuta la libertà, di poter assumere il cognome della famiglia a cui appartenevano e, nello stesso tempo, di mantenere il proprio nome. Tutte queste lapidi sono state conservate dalla famiglia Tabassi, per il gusto e per la passione che aveva per le cose antiche, e tenute esposte al pubblico ed ai visitatori attenti e appassionati di storia antica.

Un’altra lapide, come queste, è conservata dai Tabassi sul cantonale tra via Ciofano e via Corfinio in Sulmona, in ricordo del liberto T. Annavus Primis. 3

Descrizione della bifora: “Sopra due stipiti, limitati esternamente da un colonnino cilindrico, poggia un arco di sesto acuto, il quale è circondato da una cornice composta di un pianetto e di due tori separati da un guscio.

L’ampia apertura è tramezzata da un bastone orizzontale.

Con questa distribuzione risultano due vani: quello di sotto, rettangolare,  che è  bipartito da un colonnino sul quale si sviluppano due archi a sesto acuto a trifoglio; 

il vano di sopra, che è a forma di triangolo mistilineo, è decorato di un lavoro di traforo, cioè da una rosa di sei lobi, fiancheggiata da archetti acuti tripartiti, che poggiano sul bastone orizzontale. Questa è l’ossatura della finestra.

Nella parte ornativa essa non assomiglia , per la ricchezza e novità della concezione, per la natura del fogliame, per il rilievo schiacciato ed uniforme  e per la tecnica dello scalpello, a nessuna delle opere locali lavorate nella stessa epoca. Il motivo nelle facce degli stipiti è formato da fusti striati che, dipartendosi dagli angoli inferiori dei riquadri, si intrecciano, serpeggiano e spartiscono tutto il campo in tante formelle circolari disposte sopra un unico asse.

Diramano da questi fusti spire con fiori e rosoni, che chiudono i vani delle formelle, e un gran numero di piccole foglie le quali, riversandosi sopra e sotto i fusti e su questi inanellandosi, si protendono negli spazi laterali in modo da mostrare una massa compatta e stranamente mossa, che impressiona profondamente l’osservatore”. A sinistra della finestra descritta, si vede ciò che avanza di una seconda, cioè uno stipite ornato sempre dello stesso stile.

Si è creduto che l’autore di questa singolare opera d’arte medievale sia stato quello stesso Pietro Comacino che, nel 1449, costruì il portone. Questa affermazione non ha fondamento di sorta poiché mastro Pietro, che ricordò e indicò la sua opera con una iscrizione, si mostra timidissimo e rozzo “taiapietre”, assolutamente estraneo, vuoi per la tecnica del lavoro, vuoi per la modellazione delle singole parti, allo stile della finestra. 4

 

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SULMONA – Facciata palazzo Tabassi in via E. Ciofano più Pianta del piano nobile.

  1. R.Carrozzo, Banditismo e nobiltà all’ombra di palazzo Tabassi, in “Scripta et Scripturae. Contributi per la storia di Sulmona”, a cura di E.Mattiocchio, Lanciano, Editrice Itinerari, 2002, pp. 5-38.
  2. G. Pansa e P. Piccirilli, “ Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte”, LANCIANO, Tipografia dello Stabilimento Rocco Carabba, 1897, pag. 126-129.
  3. E. Ceccaroni, Racconti dalle Iscrizioni Latine di Palazzo Tabassi in Sulmona, “Terra e Gente”, Anno XV, 1995, n. 3, pag. 13-15.
  4. G. Panza e P. Piccirilli, (op. cit.), pag.127-128.

 

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